L'itinerario attraversa Rimini da nord a sud-est, toccando alcuni dei luoghi più noti della città. La prima tappa è il Ponte di Tiberio. Il ponte fungeva da passaggio sul fiume Marecchia, quando il suo corso non era ancora stato deviato. La sua costruzione iniziò nel 14 d.C. sotto il governo di Augusto mentre il termine dei lavori si ebbe nel 21 d.C., sotto il governo di Tiberio. Costruito in pietra d'Istria come l'Arco, da esso riprende anche lo stile sobrio e allo stesso tempo armonico. La struttura è composta di 5 arcate a tutto sesto con delle edicole cieche tra le imposte degli archi. La grandezza di questi archi varia in maniera crescente man mano che ci si sposta verso il centro, dove si trova l'arco più grande (foto 1-4). Ai bordi della pavimentazione presenta alcune lastre di pietra con iscrizioni latine. Il ponte è il primo tratto della via Emilia. Proseguendo verso il centro si arriva a Piazza Cavour, il centro politico ed economico della città fin dall'inizio del XIII secolo, quando acquistò importanza con la costruzione del palazzo dell’Arengo. Sulla piazza (foto 5) prospettano i tre palazzi comunali (Palazzo Garampi, Palazzo dell’Arengo e Palazzo del Podestà), il Teatro Amintore Galli e la Pescheria; al centro sorgono la Fontana della Pigna e il monumento a Paolo V. L'itinerario prosegue verso sud-est, attraverso Corso d'Augusto (foto 6) che attraversa il cuore dell città vecchia conducendo all'omonimo arco. Prima di giungere all'arco, però, una deviazione da Corso Augusto all'altezza di via IV Novembre conduce al Tempio Malatestiano. Il tempio, usualmente indicato dai cittadini come il Duomo e dal 1809 divenuta cattedrale col titolo di Santa Colomba, è il principale luogo di culto cattolico di Rimini. Rinnovato completamente sotto la signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, con il contributo di artisti come Leon Battista Alberti, Matteo de' Pasti, Agostino di Duccio e Piero della Francesca, è, sebbene incompleto, l'opera chiave del Rinascimento riminese ed una delle architetture più significative del Quattrocento italiano in generale. L'esterno (foto 7-15) del tempio fu progettato da Leon Battista Alberti alcuni anni dopo l'avvio dei lavori all'interno. Egli ideò un involucro marmoreo che lasciasse intatto l'edificio preesistente. L'opera, incompiuta, prevedeva nella parte bassa della facciata una tripartizione con archi inquadrati da semicolonne con capitello composito, mentre nella parte superiore era previsto una specie di frontone con arco al centro affiancato da paraste. Punto focale era il portale centrale, con timpano triangolare al centro di un fornice riccamente ornato da lastre marmoree policrome di spoglio, provenienti probabilmente da Ravenna, che richiamano, nella stessa accurata scelta cromatica delle pietre, l'opus sectile della Roma imperiale. La mancanza dell'arco superiore permette di vedere, ancora oggi, un pezzo della semplice facciata medievale a capanna di San Francesco. Sopra di essa è poi collocata una piccola croce, simbolo del cristianesimo cattolico praticato nel Duomo. Le fiancate sono composte da una sequenza di archi su pilastri il cui modello è stato rintracciato nei pilastri interni del Colosseo. Gli arconi delle fiancate si presentano con un un'imposta rialzata trasformando l'arco a tutto sesto in arco 'semistaffato', dove nella maggior parte dei casi non presentano il concio in chiave. Le arcate cieche erano destinate ad accogliere i sarcofagi dei più alti dignitari di corte. Generalmente gli storici escludono un intervento diretto di Alberti nel disegno complessivo dell'interno, assegnato a Matteo de' Pasti e Agostino di Duccio, tuttavia alcuni non escludono che Alberti possa aver dato indicazioni generali sull'intervento. La copertura è a semplici capriate lignee, con travi e tavelle visibili, realizzata dai francescani a loro spese in seguito all'interruzione delle fabbriche di Malatesta. Le capelle, finemente decorate, presentano opere d'arte di qualità eccezionale.Un esempio sono le sculture di giochi di putti di Agostino di Duccio (foto 23). L'interno ospita tra gli altri capolavori anche il celebre affresco di Piero della Francesca (foto 20), "Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a San Sigismondo", opera del 1451 e il crocifisso di Giotto, dipinto a tempera e oro su tavola (430x303 cm) e attribuito appunto a Giotto, databile tra il 1301 e il 1302 (foto 21,22). Cristo è raffigurato sulla croce sagomata abbandonato al peso del corpo, con il capo reclinato, gli occhi chiusi, l'espressione affaticata e sofferente ma dignitosa, il corpo magro, le gambe protese in avanti con le ginocchia e i piedi inchiodati a un unico chiodo. I tabelloni ai lati di Cristo sono occupati da decorazioni geometriche che simulano preziosi tessuti mentre in alto, su sfondo rosso, si trova un'iscrizione estesa dell'INRI. Gocce e rivoli di sangue escono dalle ferite, stimolando la partecipazione del fedele alle sofferenze di Cristo. L'aureola sporgente non appare al di sotto delle spalle, creando una curiosa mezzaluna. La figura, restaurata più volte, presenta una stesura pittorica più dolce e modulata della Croce di Santa Maria Novella, con passaggi di colore più fusi, che verranno ripresi dalla scuola locale. Forte è la luce, che stacca nettamente la figura dallo sfondo piatto, evidente soprattutto nelle braccia, di straordinaria resa anatomica, e nel busto, mentre più scolorite sono le gambe, coperte per metà da un perizoma trasparente, come già aveva fatto Cimabue. Il corpo snello ha perso la possanza della croce di Santa Maria Novella, anticipando lo stile padovano dell'artista. L'espressione del volto è mesto, ma dignitosa, e non ha ancora nulla della spiccata drammaticità dei successivi crocifissi di Padova, Louvre, Ognissanti e san Felice in Piazza a Firenze, attribuiti a Giotto o alla sua scuola. Infine, di ritorno sul corso d'Augusto, l'itinerario si conclude a sud con la visita dell'Arco di Augusto, il più antico arco romano esistente. Costruito nel 27 a.C, fu dedicato dal Senato romano all'imperatore Augusto. Segnava la fine della via Flaminia che collegava la città romagnola alla capitale dell'impero, confluendo poi nell'odierno corso d'Augusto, il decumano massimo, che portava all'imbocco di un'altra via, la via Emilia (foto 25-30). La peculiarità di questo arco è che il fornice era troppo grande per ospitare una porta, almeno per quei tempi. La spiegazione è dovuta al fatto che la politica dell'Imperatore Augusto, volta alla pace, la Pax Augustea, rendeva inutile una porta civica che si potesse chiudere, non essendovi il pericolo di essere attaccati. L'iscrizione, ora mutila, era la seguente: SENATUS POPVLVSQVE ROMANVS IMPERATORI CAESARI DIVI IVLIO FILIO AVGVSTO IMPERATORI SEPTEM CONSOLI SEPTEM DESIGNATO OCTAVOM VIA FLAMINIA ET RELIQVEIS CELEBERRIMEIS ITALIAE VIEIS ET AVCTORITATE EIVS MVNITEIS ovvero: “Il Senato e il popolo romano (dedicarono) all'imperatore Cesare, figlio del divino Giulio, Augusto, imperatore per la settima volta, console per la settima volta designato per l’ottava, essendo state restaurate per Sua decisione e autorità la via Flaminia e le altre più importanti vie dell’Italia.”